Lo stato dell’arte alla vigilia della 53° Biennale


Scomparse le gallerie storiche e frantumate le collezioni, eccoci alle mucche sotto formalina di Hirst. Gli epigoni di Wahrol dicono di recuperare l’arte povera, il concettuale, il pop, ma hanno reso tutto inoffensivo, narcotizzato. Lo scandalo fine a se stesso, la cancellazione dei maestri, l’arroganza della critica hanno cambiato lo spettatore. Due linee new age o un manichino non sono concettuali: lasciamo alla filosofia il compito di lavorare sui pensieri. Avere idee è il grado zero di ogni artista, poi servono tecnica e fantasia.
Quest’anno la Biennale di Venezia è anticipata dalle polemiche di Barbara Rose, scrittrice amica di Rauschenberg: «Koons, Cattelan? Tutti sopravvalutati. Vogliono fare impressione, ma lo choc non dura nel tempo… hanno rovinato l’arte. Esiste solo la manipolazione del mercato controllata dalle case d’asta, ma ancor più dalla pubblicità, dai libri e dai critici pagati. La crisi viene dal fatto che i ricchi non hanno cultura e i colti non hanno soldi. Un mondo che non permette lo sviluppo del gusto». La mostra aprirà a giugno, il direttore è Daniel Birnbaum, della Staedelschule di Francoforte. Il Leone alla carriera andrà alla cantante Yoko Ono, mentre qualche autore (la russa Anya Zholud dell’81, la cinese Tian Wang e la brasiliana Renata Lucas) riuscirà forse a farsi notare. Nel padiglione italiano si salvano in pochi: Valerio Berruti, Marco Cingolani, Aron Demetz, Luca Pignatelli e Valerio Carrubba.

Con la crisi dei titoli tossici è franato anche il mercato dell’arte, mostrando i vari “fenomeni” per quello che sono, dei vetrinisti. Nelle accademie di Berlino, Londra e New York non si tocca più un pennello, si studia Derrida e non Magnasco. Anche Baselitz lo ha detto recentemente: «abbiamo perso il contatto con il passato. Un milione di dollari per Hirst sono pochi, per un Tiepolo sono troppi». Giancarlo Ossola, protagonista degli anni di fermento della pittura italiana, in mostra alla Fondazione Bandera, ci spiega cos’è cambiato dagli anni ‘60: «Le cose sono peggiorate, la quantità ha prevaricato sulla qualità. C’è un problema di identità specifiche: i critici si sono sostituiti ai pittori. Ma non sarà certo un’epoca debole come la nostra a cancellare secoli di storia dell’umanità». Anche il filosofo Virilio non ha dubbi: «eventi perversi producono una supervalutazione di opere prima valutate con moderazione; il mercato dell’arte, al pari di quello di calciatori e star, fa sognare ricchezza. Un pubblicitario trasforma chiunque in un artista da 25/50 mila euro. I pittori vedono minacciate le loro possibilità di esporre, con la conseguente eliminazione del pluralismo a favore del più forte: il cinema parlato, l’arte motorizzata, attraverso la video-arte, ha contribuito a eliminare molte tecniche della rappresentazione. Ma se prendiamo la pittura, notiamo che essa ha modificato il paesaggio di Poussin. I dipinti di figure nella modernità, per esempio quelli di Bacon, non hanno eliminato Michelangelo».

Commenti

  1. mi riprometto di leggerti poco a poco, centellinando(ti) nei giorni.
    Grazie per la tua visita ed il tuo "grazie".

    hasta siempre. nat

    RispondiElimina
  2. E a te per le preziose consulenze informatiche (...)
    Alberto

    RispondiElimina
  3. Capisco e condivido alcune delle tue critiche ed osservazioni. Ma l'arte visiva non è inferiore alla poesia o alla filosofia. E può essere profondamente concettuale. Gli artisti non sono degli imbrattatele a cui servono tecnica e fantasia, anzi, possono fare a meno della tecnica se la loro grandezza glielo consente. Approfondisci meglio lo storia dell'arte, Yoko Ono è innanzitutto un'artista e poi una cantante. Penso che la tua cultura meriti di più di un Pignatelli.
    Livio

    RispondiElimina
  4. Capisco quello che dici, Livio, ma non credo affatto che l'arte sia inferiore alla poesia - la musica in ogni caso batterebbe tutti. Amo la pittura e anzi ho lavorato spesso con artisti (da Ossola a Sangregorio, fino ai più giovani del Sanfedele...) ed è proprio per loro che cerco di difendere il poco spazio concesso all'arte dalle invasioni dei pubblicitari...
    Del padiglione italiano, sul giornale, dovevo pur salvare qualcuno...
    Un saluto - Alberto

    RispondiElimina
  5. Che dire, per me è molto difficile definire l'Arte pur cercando di praticarla, mi convinco che ci sono sconfinamenti oggi che vanno aldilà della mia comprensione. Ho un approccio prima di tutto istintivo sia come fruitore che come creatore. Come fruitore ciò che sento difronte all'opera che mi coinvolge è la magica sensazione che è parte di me e mi appartiene, un vero imput per conoscere meglio l'autore, il significato del suo operare.Oggi non ci sono limiti nelle tecniche e nelle modalità espressive, ok è un bene perchè non bisogna dare nulla per scontato, ma io i miei limiti ce li ho, così questo enorme serbatoio di idee magari anche interessanti talvolta mi confonde e mi sovrasta e non mi suscita, per cui ritorno al mio istinto e seguo quella luce per limitata che sia.
    Laura

    RispondiElimina
  6. Infatti è più un problema della critica e del mercato che dell'artista. Non ho mai creduto nelle rigide classificazioni...
    Un abbraccio a Laura e buon lavoro... A.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari